di Elena Ruzza
Nella storia di Milano città e agricoltura hanno sempre convissuto, anche se con modalità, finalità e valenze diverse a seconda delle varie epoche. Guardare alle forme che hanno assunto gli orti urbani nel tempo ci racconta qualcosa del modo di pensare, vivere e produrre di chi li coltivava.
Risalendo fino al medioevo, i documenti storici dell'epoca dimostrano l'importante presenza di orti attorno alla città, la maggior parte dei quali di proprietà dei monasteri.
Ma è Bonvesin de la Riva, nel 1288, a lasciarci nel De Magnalibus Mediolani una delle prime testimonianze della presenza di orti e frutteti all'interno delle mura della città.
Questi li troviamo poi rappresentati, per la prima volta, nella pianta di Milano disegnata da Lafrery nel 1573, da cui notiamo come si concentrino nell'anello tra le due cinte murarie. Erano ancora proprietà degli ordini monastici e si trattava di “orti recinti da piccoli muri qualche volta privi di qualunque chiusura o, di frequente, definiti da staccionate di pali verticali, un po' distanziati fra loro e legati a pali orizzontali o posti a sostenere intrecciature di fasciami” (da L. Gambi e C. Gozzoli, Milano, 1982). Nel complesso, non dovevano a prima vista apparire molto diversi dalla maggior parte degli orti che incontriamo a Milano oggi.
Cambia l'epoca storica, cambiano gli abitanti della città: nel '700, nella fascia compresa tra le mura si insediano ricche famiglie aristocratiche che acquisiscono le aree ortive. Milano doveva sembrare all'epoca molto diversa e, soprattutto, più verde: veniva descritta ancora nell'Ottocento come “un immenso giardino” (Cantù, Milano storia del popolo e pel popolo, 1871) in cui non mancavano le coltivazioni di frutteti e ortaggi.
Con l'avvento dell'era industriale, l'orto ritorna strumento fondamentale di sussistenza economica per la nuova classe operaia. L'integrazione del salario con la produzione di ortaggi diviene un'attività apertamente sostenuta e incentivata con pubblicazioni e comitati in sostegno degli orti operai. Particolarmente rilevante è l'innovativa iniziativa promossa dall'Istituto per le Case Popolari, che nel 1915 istituisce in periferia i primi orti in affitto per gli inquilini delle sue case.
Tra le due guerre, la retorica fascista dell'autarchia trova negli orti urbani un'importante applicazione pratica che viene portata all'estremo durante la seconda guerra mondiale quando vengono messi a coltura parchi, piazze, viali della città, fino alle aree distrutte dai bombardamenti. Esemplare è la foto scattata nel 1943 che ritrae la mietitura del grano in piazza duomo a Milano, sotto la Repubblica di Salò.
La ricostruzione nel dopoguerra e l'espansione urbana che seguì spingono le coltivazioni sempre più in periferia. Comincia in questo periodo un tendenza che si consoliderà negli anni '80 e che dura tutt'ora: il significato degli orti per i suoi coltivatori è sempre meno legato a ragioni di tipo economico.
I nuovi orticoltori sono i nuovi cittadini milanesi: immigrati dalle campagne in una città sempre meno verde, abitanti di quartieri inospitali privi di spazi aperti e di socializzazione. I nuovi orti sono un tentativo più o meno consapevole di conservare le proprie radici e di contrastare un modello urbano e sociale dominante. Ma questa è storia di oggi.
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