di Antonio Ferrante
Nel periodo bellico e post-bellico, negli anni ‘40-’50, gli orti si erano sviluppati tra le ferrovie, nelle piazze, tra i condomini, un po’ ovunque in città, pur di produrre ortaggi per soddisfare le esigenze della popolazione. Negli anni successivi, con la ripresa economica e l’espansione edilizia soprattutto nelle grandi città ha portato alla localizzazione degli orti in periferia. Gli orti da urbani sono diventati periurbani. Molti si sono sviluppati anche per soddisfare le esigenze delle popolazioni rurali che si sono trasferite dalle aree agricole nelle città (Zasada, 2011, doi). Nel nostro paese, ad esempio, negli anni ’70 a Torino sono stati creati circa 200 ha di orti periurbani per consentire agli operai immigrati una continuità ideale con le loro radici contadine. Ma gli attuali fruitori degli orti urbani sono spesso pensionati e impiegati, che investono il loro tempo libero nella produzione di ortaggi per l’autoconsumo. Purtroppo, molti di questi orticoltori per “hobby” non hanno conoscenze pratiche di coltivazione e alcuni anche se hanno origini contadine con il tempo hanno perso le poche basi agronomiche. Pertanto i concedenti (privati, comuni, associazioni, cooperative ecc.) degli orti dovrebbero mettere a disposizione un tecnico che possa fornire un minimo d’indicazioni pratiche per una corretta coltivazione e una produzione di qualità a basso impatto ambientale.
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