martedì 28 giugno 2011

Oggi open party in via Chiodi


Growing Power

di Paola Tonizzo

Per contrastare l’inesorabile avanzamento del modello nutrizionale del fast food con un’alimentazione più sana e biologica, Will Allen, ex giocatore di basket, compra nel 1993 un ettaro di terra nella periferia di Milwaukee con l’obiettivo di incentivare la gente del quartiere a diventare agricoltori urbani in un quartiere soffocato dal cemento. Da tale iniziativa nasce l’organizzazione nazionale no-profit Growing Power che, oltre alla diffusione di una corretta nonché sostenibile abitudine alimentare, svolge un’importante mansione sociale dando la possibilità ai giovani di collaborare coltivando il cibo per la loro comunità.
Allen è un precursore dell’”urban gardering” che dagli Stati Uniti si diffonderà poi anche in Europa. Oggi, la sua comunità non è più grande di un piccolo supermercato tuttavia ospita 20.000 specie diverse tra piante, ortaggi, pesci e animali da allevamento. Non dimentichiamo che oltre a essere sano questo cibo coltivato in città è a chilometri zero, il che significa una non indifferente quantità di gas in meno nell’aria.


Architettura idroponica

di Elena Ruzza


L'agricoltura idroponica, o idrocoltura, è un sistema di coltivazione dei vegetali fuori terra che utilizza un substrato inerte del materiale più vario – argilla espansa, fibra di cocco, perlite o lana di roccia – e un'irrigazione a base di acqua e sali minerali. È un sistema che presenta risvolti interessanti da diversi punti di vista. 
Innanzitutto, quello ecologico: l'agricoltura idroponica, a parità di superficie, rende anche venti volte di più di una coltivazione in terra. Ma soprattutto annulla gli sprechi idrici, utilizzando un sistema di irrigazione chiuso che ricicla l'acqua non assorbita dalle piante. Proprio perché non necessita di ampie superfici di terreno, è una pratica che si adatta benissimo alla produzione alimentare direttamente in città, eliminando così l'impatto di CO2 dovuto al trasporto del cibo al consumatore.
Anche la qualità alimentare è un vantaggio di questa tecnica: poter controllare le sostanze nutritive apportate alle piante e la sostituzione del terreno con uno strato asettico si traduce in rese più elevate, piante più rigogliose e riduzione dell'uso di pesticidi.
Il sistema inoltre è tanto semplice ed economico da poter essere autocostruito e installato in casa: è sufficiente una piccola pompa e materiale di recupero come tubi, vasi, bottiglie e bicchieri di plastica, ma  si trova anche sul mercato una vasta gamma di prodotti per la coltivazione idroponica sulle finestre e i balconi delle nostre case.
Tutte queste caratteristiche hanno portato anche la FAO a sperimentare sull'idroponica con il progetto La Huerta Hidroponica Popular per la costituzione di piccoli orti domestici in alcuni contesti disagiati dell'America Latina, che colpiscono per la varietà delle forme e dei materiali utilizzati – tutti rigorosamente di riciclo.
Ma un aspetto estremamente interessante di questa tecnica sta nelle sue potenziali applicazioni architettoniche alle scale più diverse. 
La coltivazione idroponica ben si adatta a essere riprodotta su strutture verticali, ma è possibile realizzarla anche in piano: coperture e facciate verdi aumentano il risparmio energetico e la sostenibilità degli edifici, sia per l'azione dei vegetali sia per la possibilità di utilizzare materiali isolanti come substrato inerte. Forse in futuro serre per la produzione alimentare si integreranno non solo con gli edifici ma col tessuto urbano delle nostre città, come promosso dal Science Barge allestito nel cuore di New York.
L'architetto americano Gordon Graff ha poi portato all'estremo le potenzialità dell'agricoltura idroponica nel progetto di Skyfarm, un grattacielo ad uso residenziale integrato con coltivazioni verticali per 59 piani di altezza, che garantirebbe alimenti per 50.000 persone: forse una provocazione per le sue colossali dimensioni, ma uno studio interessante su come un'architettura possa diventare essa stessa un piccolo ecosistema.  

Associazionismo americano

di Paola Tonizzo

A New York, l’associazione Greenthumb è stata avviata in risposta alla crisi finanziaria negli anni settanta che ha causato l’abbandono dei terreni agricoli sia pubblici che privati. L’organizzazione ha adottato e ristrutturato questi lotti liberi e oggi sostiene il progetto di oltre 600 orti urbani. Sono i residenti del quartiere ora a gestire gli orti, fornendo importanti risorse come gli spazi verdi che incentivano un miglioramento della qualità dell’aria, biodiversità e benessere, una considerevole risorsa per la comunità. Greenthumb organizza workshop con frequenza mensile per favorire la partecipazione civica e per l’organizzazione di comunità tematiche. Oltre a produrre dispense alimentari programma laboratori didattici e feste di quartiere. Gli spazi Greenthumb sono in tutti i quartieri della città, sotto le molteplici forme di spazi relax, zone di incontro o veri e propri allevamenti.
Dati forniti dalla National Gardening Association (Nga) denotano un incremento, dal 2006 al 2007, del 25% delle spese per la coltivazione in proprio. Nel 2008 la spesa è stata di 2 miliardi e mezzo di dollari. 

sabato 11 giugno 2011

Milano, città verde

di Elena Ruzza
Milano coltiva i suoi terrazzi. E' questo lo slogan dell'iniziativa che segnaliamo in corso in questo week-end a Milano, presso l'acquario civico di via viale Gladio 2 (MM2 Lanza).
Dagli orti sui balconi a una riflessione più generale sull'agricoltura in città attraverso i temi della sostenibilità, del paesaggio, del design e arredo urbano, della qualità alimentare.
Partecipano agronomi, designers, architetti, imprenditori e associazioni locali che da anni lavorano nell'ambito dell'agricoltura urbana, come il Giardino degli Aromi dell'ex paolo Pini.
Laboratori, mostre, conferenze, lezioni e altro ancora sabato e domenica dalle 10,00 alle 17,30. Il programma dettagliato è consultabile sul sito di Green Urbanity.


martedì 7 giugno 2011

Caro diario

di Marika Carbone e Serena Carizzoni

Ed eccoci qui. Un altro lunedì mattina passato negli orti di via Chiodi. È proprio una bella esperienza, uscire dal Politecnico per andare a fare lezione al sito di progetto, anche se, ancora, di realmente costruito non c’è niente. Stamattina abbiamo portato le pale per sistemare il terreno della nostra aula all’aperto e per smuovere il terreno dell’orto. Non sono però le uniche cose che faremo, infatti, dovremo anche piantare dei semi per incominciare a far cresce il nostro orto.

H.11.00
Ci siamo tutti e finalmente possiamo iniziare.
La lezione, questa mattina, è tenuta dal Prof. Ferrante, esperto agronomo e professore all’Università Statale di Agraria.
Ha portato con sé: tre contenitori aventi tanti piccoli vuoti, un sacco pieno di terreno umido e delle buste con i semi da piantare. Che efficienza!
Nelle buste i semi sono di carote, diversi tipi di insalata e due diversi tipi di pomodoro.
Quello che dobbiamo fare è coprire i buchi con il terreno nella busta ma non riempirli del tutto, poi mettere un seme per ogni spazio e ricoprirlo con un velo di terreno per farlo germogliare.
Dovremo venire a bagnarli tutti i giorni.
Intanto che un gruppo fa questo lavoro, un altro si sta occupando della sistemazione del terreno dell’aula.
Sarà bellissima quando vedremo tutto finito! Sarà anche riconoscibile da fuori la nostra aula grazie alla copertura diversa da tutte le altre.
Finito di seminare nelle vaschette le abbiamo bagnate e messe a ridosso della siepe, pronti per occuparci tutti insieme del terreno dell’aula, dove abbiamo deciso di lasciare due piante e di togliere tutto il resto.
Il sole di oggi è veramente caldo e qui fa veramente caldo ho assolutamente bisogno di un po’ d’ombra.

H.12.30/13.00
Pausa pranzo.
Finalmente ci sediamo sul prato sotto l’ombra di un bellissimo ciliegio.
Che caldo!

H.14.30
Pausa pranzo finita. Il ritrovo è nell’orto.
Il lavoro che bisogna fare nell’orto è molto semplice, per oggi dobbiamo solo smuovere il terreno.
Prima di iniziare abbiamo una piccola introduzione tenuta sempre dal Prof. Ferrante, che ci spiega che per poter piantare in un terreno che non è mai stato usato bisogna smuoverlo. Questo per fargli prendere aria e dargli il tempo di riprende un po’ di sostanze nutritive che aveva perso.
Iniziamo tutti a dare una mano, anche se incominciamo a risentire, tutti, della giornata sotto il sole.
Necessitiamo di un posto all’ombra!
Il lavoro è molto pesante e il terreno è molto compatto. Si fa molta fatica a rigirarlo.
Ma siamo veramente in tanti e con l’aiuto di tutto riusciamo a portare a termine il lavoro!
Abbiamo finalmente finito!
Per oggi non c’è più niente da fare.

Il lavoro durante la settimana è innaffiare i semi piantati oggi, poi ci sono due gruppi uno che deve pensare alla struttura della copertura e l’altro che deve sistemare il terreno dell’aula.

Alla prossima settimana quindi!

lunedì 6 giugno 2011

Videointervista a Claudio Cristofani


di Elena Ruzza

Il proprietario del complesso di orti di via Chiodi, l'architetto Claudio Cristofani, spiega le ragioni che sono alla base  della sua iniziativa. In questa breve intervista si toccano diversi temi, come la ricerca di forme di utilizzo del territorio alternative all'ormai insostenibile saturazione edilizia e la necessità sociale di servizi che non diventino ghetti riservati a categorie deboli, come gli anziani e le famiglie a reddito più basso. Queste immagini non rappresentano la soluzione ai problemi della qualità della vita all'interno delle nostre città ma offrono un utile spunto di riflessione per l'urgente ridefinizione del nostro rapporto con la natura.

Segnaletica Ortincorso online


Il gruppo di redazione che cura questo blog ha sintetizzato in una presentazione consultabile online il lavoro fin ora affrontato all'interno del corso Costruire naturale del Politecnico di Milano. Tra i temi raccolti trovate l'analisi del contesto degli orti di via Chiodi, il reportage delle attività sul campo da parte degli studenti del corso e in particolare le proposte di comunicazione del progetto, dal logo alla segnaletica alle installazioni in loco.