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sabato 29 gennaio 2011

Sostenibilità e socialità

di Francesco Bevilacqua (da Terranauta)

NELLE METROPOLI MODERNE ESISTONO PICCOLE MA NUMEROSE E IMPORTANTISSIME REALTÀ: GLI ORTI URBANI. QUESTE ESPERIENZE SONO IN GRADO DI PORRE RIMEDIO, SEPPUR A LIVELLO MICROSCOPICO, ALLE STORTURE DEL SISTEMA CONSUMISTICO E CAPITALISTICO: COSTITUISCONO DEI POLMONI VERDI PER LE METROPOLI INDUSTRIALIZZATE, EDUCANO A PRATICHE AMBIENTALI SOSTENIBILI, RISPONDONO ALL'ESIGENZA DI "FARE COMUNITÀ" E OFFRONO UN'ALTERNATIVA ALLE CATEGORIE SOCIALI EMARGINATE DALLA SOCIETÀ MODERNA.


orto_urbanoOrti urbani: un polmone verde nel cuore delle metropoli industrializzate

La jungla di cemento della città occidentale del 2000 offre infiniti scorci urbani, la maggior parte dei quali costituisce esempi decisamente negativi dal punto di vista di chi parteggia e si batte per il recupero della forma originaria del rapporto tra uomo e natura che in queste realtà moderne si è oramai dissolto.
Tuttavia, fra grandi tangenziali a quattro corsie, giganteschi e alienanti centri commerciali e uffici popolati da stuoli di frenetici impiegati si possono trovare scorci di vita che, pur nella loro apparente semplicità, costituiscono uno spiraglio di sopravvivenza non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello comunitario, sociale e - perché no? - anche economico.

Stiamo parlando degli orti urbani. Di primo acchito si potrebbe pensare a questo tipo di strutture come il rifugio dell’umarell - l’omarello, il pensionato, il vecchietto - ma dietro a questo microcosmo urbano c’è molto di più. Un punto di vista ambientale, dicevamo; l’orto può costituire infatti, un’alternativa su piccola scala alla grande agricoltura intensiva, basata su ritmi di coltivazione innaturali, sull’ampio utilizzo di pesticidi, fitofarmaci, fertilizzanti, strumenti atti a conseguire - secondo la logica capitalistica della “crescita a ogni costo” - il massimo rendimento per ettaro in termini di produzione, merce e quindi guadagno.
È quasi inutile dilungarsi a spiegare le conseguenze negative di queste pratiche: alterazione dei cicli naturali, inquinamento del suolo e dell’aria, annientamento della biodiversità, fino ad arrivare alla commercializzazione di prodotti di qualità scadente, spesso addirittura dannosi per la saluta di chi li consuma.
Completamente diversa la sensibilità con cui il coltivatore dell’orto svolge il suo lavoro: anzitutto è del tutto assente la ricerca del profitto e dell’ottimizzazione della produzione, concetti inconciliabili con un approccio sincero ai cicli di produzione naturali. La cura dell’orto avviene attraverso metodi tradizionali, frutto dell’antica sapienza contadina, rispondenti a un’esigenza di semplice sostentamento e autoproduzione e permeati da un profondo amore e senso di gratitudine nei confronti della terra.
Ma i risvolti positivi in termini ambientali non si fermano al rifiuto della pratica intensiva e alla coltivazione di prodotti sani; gli orti urbani costituiscono un fondamentale polmone verde per le città e contribuiscono spesso al recupero di aree degradate, sporche e abbandonate della metropoli. A New York dal 1978 esiste Green Thumb, un’associazione patrocinata dal Dipartimento dei Parchi che, forte di 600 membri e un mercato di 20.000 persone, ha l’obiettivo di risanare zone degradate riconvertendole in orti urbani, i quali forniscono prodotti ortofrutticoli per mercatini biologici comunitari; oltre a questo, l’esperienza di Green Thumb (letteralmente Pollice Verde) fornisce spazi sociali per gli anziani, organizza feste per le comunità di quartiere ed elabora progetti di studio a contatto con la natura per bambini e ragazzi.
pollice_verdeLogo di Green Thumb, un’associazione patrocinata dal Dipartimento dei Parchi di New York che ha l’obiettivo di risanare zone degradate riconvertendole in orti urbani
Insomma, gli orti rappresentano un tentativo da parte della natura di riappropriarsi dei suoi spazi in ambito urbano, degli spot - macchie - grazie ai quali essa ci aiuta a sopravvivere anche in quei luoghi da cui l’abbiamo completamente estromessa.
Sin qui abbiamo parlato del risvolto ambientale della faccenda, ma la realtà ortiva assume una grande importanza anche dal punto di vistasociale, o ancora meglio comunitario. Coloro che si dedicano maggiormente a questa pratica sono gli anziani - il 60% dei coltivatori degli orti urbani ha fra i 60 e i 70 anni, il 30% ne ha più di 70. Essi appartengono a una categoria troppo spesso dimenticata, forse perché - raggiunta una certa età - ha perso quella capacità produttiva che è oggi l’unica credenziale che permette di contare qualcosa nella società dei consumi, dove il sapere e l’esperienza non sono più un valore, tant’è che oggi non si parla più di sapienza ma know how- letteralmente “sapere come [fare qualcosa]” -, una dote finalizzata esclusivamente alla produzione. La coltivazione ortiva, ispirata ai principi dell’agricoltura permanente - la permacultura -, basata sul rispetto dei ritmi e dei quantitativi naturali e sulla condivisione delle risorse, non utilizza il know how, quanto piuttosto la vecchia saggezza contadina dei nostri padri e dei nostri nonni, frutto di una vita vissuta a contatto, in simbiosi e in osmosi con la natura.
Un ulteriore valore degli orti urbani è quindi quello di costituire un punto di incontro per la comunità, un impegno fruttuoso per gli anziani che, piuttosto che rinchiudersi in casa a fissare la TV (non per niente il declino delle esperienze ortive in Italia comincia dagli anni ’60, in corrispondenza del boom della televisione), escono nei giardini e nei cortili, parlano fra loro, si confrontano sui prodotti che coltivano, regalano al vicino il pomodoro più succoso del loro orto, mettono la loro frutta a disposizione dei ragazzi del quartiere per educarli a preferire prodotti naturali alle merendine confezionate piene di conservanti e coloranti. La comunità che coltiva gli orti costituisce quasi un rallentatore, un tentativo di riequilibrare i ritmi frenetici imposti dalla società moderna, che - come Tonnies ci insegna - sostituisce le relazioni meccanicistiche ed estemporanee ai legami sinceri, duraturi e naturali che animano invece la comunità.
innaffiare_ortoErica Zanetti ha realizzato, in collaborazione con il Comune di Bologna, una mostra fotografica per conoscere la realtà cittadina, forte di più di 100 chilometri quadrati di terreni ortivi
Per concludere questa riflessione, ecco un breve flash sull’effettiva situazione della realtà degli orti urbani in Italia. Molti comuni, da una ventina d’anni a questa parte, stanno riconoscendo il valore di queste esperienze creando strutture apposite e indicendo bandi e concorsi per l’assegnazione e la gestione degli orti cittadini. A Torino, Treviso, Bergamo, Milano, Bologna ma anche in comuni più piccoli come Castenaso, Vedano al Lambro, Orbassano, Savona si stanno moltiplicando le iniziative e i programmi volti a favorire la diffusione di questa pratica.
Ognuno dà poi particolare rilievo a un aspetto particolare: il comune di Buccinasco insiste particolarmente sul valore in termini di socializzazione e risoluzione ai problemi di emarginazione di particolari categorie (anziani, invalidi, vedovi e vedove); a Milano si inseriscono gli orti nel progetto di ungrande polmone verde, dotato di un percorso ciclabile e un’area boschiva; a Reggio Emilia sono coinvolti anche i giovani, che vengono educati alle pratiche sostenibili di autoproduzione e compostaggio; a Bologna l’artista Erica Zanetti ha realizzato, in collaborazione con il Comune, una mostra fotografica per conoscere la realtà cittadina, forte di più di 100 chilometri quadrati di terreni ortivi.
Il quadro complessivo appare quindi più che mai incoraggiante: un po’ tutti stanno cominciando ad accorgersi del piccolo miracolo degli orti cittadini, in grado di concentrare in 50 metri quadrati opportunità di decrescita, sostenibilità ambientale, occasioni di socializzazione e recupero dei valori comunitari.